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Samarcanda Ovvero Difficile non lasciarci il cuore.

Warmer and deeper than that Orient sand

Which hides the beauty and bright faith of those

Who made the Golden Journey to Samarkand

Quando James Elroy Flecker scrisse I versi del poema “Hassan – The golden journey to Samarkand”, sicuramente non prevedeva che questa immagine di terre lontane e leggendarie potesse sopravvivere così a lungo. Intendiamoci, Samarcanda non è una città polverosa, percorsa da mercanti a dorso di cammello e comuni abitanti indaffarati che corrono avanti e indietro indossando copricapo locali. Anzi.

Fondata circa 2700 anni fa, dopo essere stata conquistata da Ciro il Grande e aver ammaliato Alessandro Magno, nel 1220 venne distrutta dall’orda di Gengis Khan quando era già un crocevia di vitale importanza per la Via della Seta. Nella maggior parte dei casi un tale avvicendarsi di nomi di grandi conquistatori del passato basterebbe per rendere questo luogo quasi “mitico”, ma nel caso di Samarcanda possiamo addirittura considerarlo quasi solo un inizio.

Nel XIV secolo infatti, il condottiero turco-mongolo Tamerlano la scelse come capitale del nascente impero timuride che oltre al Centro Asia comprendeva territori lontani, fino ad arrivare a Persia e Mesopotamia.

A differenza di Gengis Khan, in comune avevano  parte del retaggio culturale e si professava suo degno erede, provava una forte passione per le arti e non si risparmiò nel tentativo (riuscito) di rendere Samarcanda il polo culturale dell’Asia Centrale per poesia, pittura ed astronomia. Solo per fare un esempio banale suo nipote Ulugh Beg fu si sultano quasi all’altezza del nonno, ma con il merito aggiunto di aver costruito il più famoso osservatorio astronomico del mondo arabo,  le cui misurazioni sono state citate da molti famosi astronomi occidentali nei secoli successivi.

Il declino della città, che al tempo contava più abitanti che nell’era moderna,  ebbe inizio quando nel XVII secolo gli uzbeki di dinastia Shaibanide presero il controllo dell’aerea e spostarono la capitale a Bukhara; la bella Samarcanda cadde nell’oblio venendo quasi abbandonata e dovette aspettare la conquista sovietica nel tardo 1800 per ritrovare parte del suo splendore.

“Una parte” perché l’impronta russa sull’architettura locale è evidente mentre l’antica atmosfera di città centroasiatica è sicuramente, ahimè, persa. Viali immensi e ville in stile barocco tipiche del periodo imperiale sovietico hanno sostituito i vicoli stretti e ombreggiati nei quali oramai ci si può perdere solo nella Città Vecchia nascosta senza motivo allo sguardo dei turisti da alte mura e recinzioni.

Partendo dal presupposto che questa scelta è abbastanza assurda e sicuramente non aiuta a dargli  una sua omogeneità che pare oramai irrecuperabile, Samarcanda rimane comunque e per distacco, il luogo più affascinante ed emozionante visto fino ad ora in questo viaggio sulla Via della Seta.

Capita di leggere, persino su guide di caratura internazionale, che la principale critica mossa ai lavori di ristrutturazione degli edifici storici sia la presunta eccessiva maestria con cui questi ultimi sarebbero stai eseguiti, contribuendo a dare un’immagine “asettica” alla città. La mia personale opinione è che tutto ciò non corrisponda al vero.

Chi ha già letto dei miei articoli sa quanto sia attento alla differenza tra conservare e ricostruire (potete leggere della mia più grande delusione in Cina QUI) e ciò che ho trovato a Samarcanda non è possibile da avvicinare a qualsiasi altro luogo visto in precedenza. Il restauro delle varie madrasse  e moschee non risulta invasivo ma da allo spettatore la sensazione di trovarsi in un’altra epoca, in un luogo magico che ha il potere di affascinare ed emozionare, con le cupole turchesi lanciate verso  un incontro con un vecchio amico, il cielo.

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